Esistono condizioni dell’animo umano in cui ciò che siamo si spezza. Non all’esterno, ma nel nucleo più profondo della nostra identità. È una lacerazione invisibile ma devastante, una frattura ontica che separa la mente dall’anima, il corpo dalla coscienza, l’intelligenza dalla compassione. Quando questa rottura avviene, l’uomo perde l’orientamento del suo essere. Diventa macchina pensante, stratega dell’utile, artefice di dominio. Resta vivo, ma non più umano.
È proprio per rispondere a questa deriva, oggi tanto diffusa quanto non nominata, che il Kriya Yoga si rivela nella sua funzione più alta: non semplice tecnica respiratoria, non solo disciplina spirituale, ma via di reintegrazione ontologica. Una scienza interiore per restituire all’uomo la sua interezza originaria, per ricucire ciò che l’angoscia moderna ha diviso: l’unità tra corpo, mente e anima.
La mente umana, lasciata a se stessa, può diventare un’arma. Se scollegata dalla guida dell’anima, essa non smette di funzionare: si affina, si velocizza, calcola, manipola, domina. Ma diventa incapace di comprendere nel senso più pieno del termine: incapace cioè di abbracciare, di entrare in risonanza con l’altro, di cogliere la sacralità dell’esistenza. Etica ed empatia non sono prodotti del pensiero razionale; sono risonanze dell’anima. E quando l’anima viene dimenticata, il pensiero si fa pericoloso, anche se brillante.
In questa condizione, l’intelligenza può diventare lo strumento più efficiente per infliggere sofferenza. Più è potente la mente, più può progettare crudeltà. Più è abile l’ego, più può mascherare l’assenza d’amore. L’essere umano, in apparenza ancora vivo, è ormai abitato da un vuoto. Un corpo senz’anima, una coscienza ridotta a riflesso del desiderio o del potere. In termini spirituali, è una caduta vibrazionale, un regredire verso forme inferiori dell’essere pur mantenendo sembianze umane.
Il Kriya Yoga non offre risposte intellettuali a questo smarrimento: offre esperienza trasformativa. Attraverso il respiro cosciente, il ritiro dell’attenzione dai sensi, la centratura nel Sé superiore, il Kriya ricostruisce il ponte interrotto tra la mente e l’anima. Ogni pranayama, ogni atto consapevole del Kriya è una carezza data alla frattura, un filo d’oro che ricuce la lacerazione invisibile del nostro essere.
Nel silenzio profondo che segue la pratica, si risveglia la consapevolezza integrale: quella che non giudica, non divide, non domina, ma osserva e ama. Il Kriya riordina le energie sottili, purifica il corpo e pacifica la mente. E, nel farlo, riabilita l’empatia come percezione diretta dell’altro in noi. Etica ed empatia, dunque, non come comandamenti, ma come conseguenze naturali di uno stato di coscienza risvegliato.
Il praticante, progredendo, scopre che il vero potere non è la forza della mente, ma l’umiltà del cuore. Che la vera intelligenza è quella che si lascia illuminare dalla luce del Sé, non quella che cerca di imporsi sul mondo. Il Kriya Yoga salva, non nel senso moralistico del termine, ma perché restaura l’essere nella sua dimensione divina.
Il demone che abita l’uomo non ha corna né artigli: ha occhi freddi, una lingua affilata, e spesso una carriera di successo. È il demone dell’ego disgiunto, dell’intelligenza senz’anima, della razionalità che non conosce compassione. Ma non è invincibile. Può essere dissolto, non con la repressione o con la lotta, ma con la trasmutazione interiore.
Il Kriya Yoga insegna questa arte alchemica. Trasforma il desiderio in devozione, l’ansia in presenza, la rabbia in energia risvegliata. Là dove la frattura sembrava irreparabile, introduce una vibrazione nuova, dolce ma potente, che guida l’essere verso la sua reintegrazione. Un essere unificato non è più pericoloso, perché non ha più nulla da difendere. Non ha bisogno di ferire, perché ha trovato pace.
In un mondo dove l’intelligenza è celebrata più dell’anima, e l’ego più della coscienza, il Kriya Yoga è un atto rivoluzionario. Una rivoluzione silenziosa, che non cerca di cambiare gli altri, ma trasforma sé stessi. Praticare Kriya è affermare con ogni respiro: “Io scelgo di essere intero. Io scelgo di non spezzarmi. Io scelgo di essere umano, pienamente.”
E forse è proprio questa la salvezza che ci è data: non l’immunità dal dolore, non l’onnipotenza, ma la possibilità concreta di non smarrirsi. Di restare presenti, aperti, trasparenti. Di guardare l’altro e riconoscere in lui lo stesso soffio che anima noi. Di non diventare ciò che temiamo: intelligenze vuote, corpi senz’anima. Ma di risplendere, anche in mezzo al buio, come esseri finalmente realizzati.
Il nostro sito usa i cookies per una miglior esperienza di navigazione. Visita la nostra pagina Privacy Policy per avere maggiori informazioni su come raccogliamo e trattiamo i dati sensibili raccolti.