Kriya Yoga e Cristianesimo Mistico: contro le false accuse

Accusare il Kriya Yoga, in particolare quello trasmesso nella linea di Babaji, di essere una forma di satanismo rappresenta uno dei più gravi errori epistemologici e filosofici che si possano commettere nel giudizio di una via spirituale. Questo tipo di accusa nasce, nella maggior parte dei casi, da un fraintendimento radicale delle categorie simboliche dell’India tantrica, da una sovrapposizione impropria di significati teologici occidentali su sistemi sapienziali differenti, e da un uso distorto del concetto di male. Un simile errore comporta il rischio di negare a intere tradizioni millenarie la dignità spirituale, la profondità iniziatica e l’efficacia trasformativa che esse possiedono, a vantaggio di una visione dogmatica, esclusivista e spesso alimentata dalla paura dell’altro.

Il Kriya Yoga è una disciplina interiore che, lungi dal voler dominare forze oscure o evocare entità malevole, promuove la purificazione della mente, la trasformazione dell’energia vitale e il risveglio della coscienza attraverso pratiche millenarie codificate in modo preciso. Il suo linguaggio simbolico, come quello della kundalini, del serpente, dei chakra, dei mantra, è stato spesso male interpretato da osservatori superficiali, i quali confondono l’apparenza esterna di un simbolo con il suo significato profondo. Il serpente, ad esempio, nella simbologia tantrica è l’immagine dell’energia dormiente alla base della coscienza, la forza creativa potenziale che, se risvegliata correttamente, conduce all’unione con il Principio. La stessa immagine del serpente, del resto, compare anche nella tradizione giudaico-cristiana in forme ambivalenti: non solo come tentatore, ma anche come segno di guarigione, come il serpente di bronzo che Mosè innalza nel deserto per salvare il popolo, oppure come simbolo della sapienza che accompagna la figura di Cristo: “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”[1].

Chi accusa il Kriya Yoga di satanismo confonde l’esteriorità delle forme con la sostanza spirituale, in un errore epistemologico classico: giudicare un fenomeno senza conoscerlo, o peggio, usando categorie inadatte a comprenderlo. Questo tipo di approccio ricade in un dualismo manicheo che separa in maniera rigida bene e male, spirito e corpo, Oriente e Occidente, senza riconoscere che le autentiche vie spirituali condividono strutture profonde comuni, al di là delle differenze culturali. Una filosofia spirituale autentica si basa sulla capacità di discernere, di andare oltre le apparenze, di vedere nei simboli l’archetipo, non la superstizione.

La tradizione cristiana più profonda, quella mistica, quella delle origini, presenta analogie sorprendenti con il Kriya Yoga. La preghiera del cuore, il silenzio interiore, la discesa della mente nel cuore, la vigilanza e la sobrietà, sono elementi centrali dell’esicasmo, la corrente mistica dell’Oriente cristiano. Allo stesso modo, nel Kriya Yoga, il controllo del respiro (pranayama), la meditazione sul cuore spirituale, la ripetizione del mantra, la purificazione dei canali energetici, sono vie interiori verso l’unione con il divino. La meta è la stessa: una trasformazione dell’essere che passa attraverso la morte dell’ego, la purificazione delle passioni, il risveglio di un principio divino che giace nascosto nel profondo dell’anima.

Il cuore del cristianesimo mistico è la theosis, la divinizzazione dell’uomo, la sua partecipazione alla natura divina[2]. Così come nella via yogica, la meta è il samadhi, l’unione con l’Assoluto. Non si tratta di poteri, di dominio, ma di resa, di umiltà, di offerta. La preghiera del cuore cristiana – “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”[3] – ha la stessa struttura del mantra ripetuto nel silenzio del respiro. Entrambi si radicano nel battito interiore, entrambi dissolvono l’identità superficiale, entrambi conducono al silenzio nel quale può manifestarsi la Presenza.

Questa convergenza profonda tra la mistica cristiana e il Kriya Yoga trova ulteriore conferma quando si osservano le due vie attraverso la lente delle rispettive “mappe” interiori: da un lato, la tradizione tantrica offre il modello dei chakra, centri energetici e psico-spirituali lungo l’asse della colonna vertebrale; dall’altro, la mistica cristiana – in particolare quella dei Padri orientali e dei grandi mistici medievali – descrive un percorso che attraversa tappe interiori sempre più sottili, dalla purificazione alla contemplazione, fino alla piena unione trasformante.

I chakra non sono semplici concetti esoterici o immagini decorative di una spiritualità orientale astratta. Essi rappresentano stadi concreti di coscienza, ciascuno con le sue sfide, le sue virtù da integrare e le sue ombre da trasmutare. Il primo chakra, muladhara, è associato al radicamento, alla sopravvivenza e alla stabilità. Nella via cristiana, corrisponde alla via purgativa, in cui l’anima affronta la propria animalità, si distacca dalle passioni grossolane, e pone le basi etiche del cammino spirituale. Il secondo chakra, svadhisthana, lavora sulle emozioni e sul desiderio. È il centro della sensibilità e della sessualità, e nella mistica cristiana trova un parallelo nella fase di conversione profonda, dove l’anima prende coscienza del caos interiore e inizia a orientarsi verso l’alto. Il terzo chakra, manipura, rappresenta la volontà, il fuoco, il potere personale, e si collega alla fase della preghiera attiva, dove la disciplina e il dominio di sé diventano strumenti di ascesi.

Il quarto chakra, anahata, situato nel cuore, è il centro dell’amore e della compassione. Qui, nel cammino cristiano, si entra nella fase dell’illuminazione, dove si sperimenta l’amore gratuito, la devozione e il dono di sé. Il quinto chakra, vishuddha, è legato alla gola, alla comunicazione, alla verità. La sua corrispondenza mistica è la notte oscura dell’anima: un periodo di silenzio interiore, di svuotamento, dove l’anima tace perché possa parlare Dio. Il sesto chakra, ajna, è il centro della visione, dell’intuizione e del discernimento spirituale: la coscienza si apre alla luce divina, l’ego è trasceso. Infine, il settimo chakra, sahasrara, è la corona, l’apice dell’unione, il punto in cui la dualità si dissolve. È la theosis cristiana, la realizzazione piena, dove l’anima partecipa alla vita di Dio.

Accusare il Kriya Yoga di essere una pratica satanica è anche una negazione della gnosi spirituale trasversale, quell’intuizione universale che ha fatto dire ai grandi maestri di ogni epoca che la verità è una, anche se i nomi cambiano. Le tradizioni sapienziali di tutto il mondo – dallo yoga tantrico alla mistica cristiana, dal sufismo alla cabala, dal taoismo allo zen – condividono principi fondamentali: l’uomo è chiamato a ricordare ciò che è, a tornare a casa, a trascendere l’illusione dell’ego per riunificarsi con il principio da cui tutto proviene. Il cammino è sempre un movimento interiore, una conversione, una rinascita.

Gesù stesso invita a discernere non dalle apparenze, ma dai frutti: “Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?”[4]. E ancora: “Il Regno di Dio è dentro di voi e intorno a voi”[5], e “Il Regno di Dio è in mezzo a voi”[6]. La luce del risveglio interiore, nella tradizione cristiana orientale, è la luce del Tabor[7]. Conoscere la verità significa lasciarsi trasformare da essa: “Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”[8].

Infine, è importante comprendere che la verità spirituale non è patrimonio esclusivo di una religione o di una tradizione. La presenza divina è ubiqua, silenziosa, e opera dove trova cuore aperto, umiltà e desiderio sincero di verità. Il Kriya Yoga, come altre autentiche vie interiori, è uno dei sentieri che conducono alla sorgente. Chi ha occhi per vedere non può non riconoscere, nella sua struttura, nei suoi simboli, nella sua prassi, la medesima tensione all’Assoluto che ha animato i mistici cristiani delle origini. Condannarlo significa non solo fraintenderlo, ma anche tradire lo spirito più profondo del messaggio di Cristo, che è amore, apertura, discernimento e accoglienza della verità ovunque essa si manifesti.

Note

[1] Vangelo secondo Matteo 10,16.

[2] Seconda Lettera di Pietro 1,4.

[3] Formula della preghiera del cuore (esicasmo cristiano).

[4] Vangelo secondo Matteo 7,16.

[5] Vangelo di Tommaso, loghion 3 (testo apocrifo).

[6] Vangelo secondo Luca 17,20-21.

[7] Matteo 17,1-9, riferito alla Trasfigurazione.

[8] Vangelo secondo Giovanni 8,32.